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La pace come strumento di guerra : la delegittimazione del pacifismo negli anni della guerra rivoluzionaria (1956-1969)

2025 - Franco Angeli

80-104 p.

Nei primi anni Cinquanta del Novecento iniziano a farsi strada nel dibattito interno all'istituzione militare italiana argomentazioni che tendono a ridefinire la natura della minaccia posta dall'Unione Sovietica. Ripensamenti suscitati da stimoli e spinte provenienti dal contesto internazionale le crisi nel Mediterraneo, in Algeria e a Suez, e soprattutto quella in Ungheria nel 1956 trovano una sintesi nella teoria della guerra rivoluzionaria di provenienza francese. Leggendo la Guerra fredda come un permanente conflitto di aggressione all'Occidente da parte del comunismo globale, i teorici della guerra rivoluzionaria identificano nella politica della distensione una delle armi più efficaci a disposizione dell'avversario. Di conseguenza il pacifismo, sia nella sua versione socialcomunista, sia nella declinazione cristiano-sociale, appare come una vera e propria arma nelle mani del nemico. Potrebbe sembrare un discorso tutto interno all'istituzione militare italiana, se non fosse che va a innestarsi in un più

ampio discorso politico già presente nel Paese almeno dal 1947, rafforzandolo e legittimandolo da un punto di vista tecnico. [Testo dell'editore]

In the early 1950s, an internal debate aimed at redefining the nature of the threat posed by the Soviet Union developed within Italian military institutions. Reconsiderations triggered by changes and crises in the international context in the Mediterranean, in Algeria and at Suez, and especially in Hungary in 1956 eventually found a synthesis in the French theory of revolutionary war. Interpreting the Cold War as a permanent war of aggression, waged against the West by global communism, revolutionary war theorists viewed the policy of détente as one of the most effective weapons in the hands of their opponents. Consequently, pacifism, both in its social-communist and in its Christian-social interpretation, appeared as a weapon wielded by the enemy. Although this discourse might seem entirely internal to the Italian military institution, it was not. Indeed, it was embedded within a broader political discourse already present in the country since at least 1947, technically reinforcing and legitimising it

[Publisher's Text]

Is part of

Italia contemporanea : 308, 2, 2025