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"Un Epitteto a mio modo" : Giacomo Leopardi e la traduzione del Manuale di Epitteto

2024 - Leo S. Olschki

P. 419-452

Le seguenti pagine prendono in esame la traduzione leopardiana (1825) del Manuale di Epitteto, un testo che ha conosciuto una enorme fortuna attraverso i secoli, aperto com'era alle fruizioni più diverse. Dopo un breve accenno a Leopardi traduttore dei classici, viene messo in rilievo il suo interesse per un'opera che egli non lesse come un "libretto dei pensieri", ma come un "prontuario per l'azione", per il taglio pragmatico che possedeva: una sorta di guida al vivere. Si passa poi alle considerazioni sull'idea propriamente leopardiana della lingua greca come modello di lingua per l'italiano, che come il greco è la più "ardita" delle lingue, capace di più registri, di alternanze tra arcaismi e toni quotidiani, latinismi, forme dotte e anticheggianti, e toni familiari, parlati e incalzanti: la lingua maggiormente adatta a tradurre le lingue antiche.

Ampio spazio è dedicato all'analisi della lingua e dello stile della traduzione del Manuale, che era apparso a Leopardi un testo linguisticamente e stilisticamente attraente per "semplicità e dimestichezza del dire". Si prendono in esame i fenomeni linguistici più evidenti e significativi (lessicali, sintattici, morfologici), di cui si offre la necessaria campionatura. Ci si sofferma sull'analisi delle varianti leopardiane nel ms. autografo conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, esame che mette in rilievo la ratio che guida la traduzione, oscillante tra innovazione e tradizione, la singolare attenzione per la fonia, e la struttura sintattica molto articolata nell'accogliere un moderato arcaismo accanto ai toni ora quotidiani e distesi, ora lucidamente argomentati, secondo i modi adottati nella prosa delle coeve Operette morali. [Testo dell'editore]

The present essay examines Giacomo Leopardi's 1825 translation of Epictetus's Manual, a work that has enjoyed widespread influence across the centuries due to its circulation in a variety of contexts. Starting with an overview of Leopardi's role as a translator of the Classics, the study highlights his particular interest in this text, which he approached not merely as a “collection of thoughts”, but as a “handbook for action” - a practical guide to life - due to the text's pronounced pragmatic tone. The article moves on to Leopardi's conception of the Greek language as a model for Italian. Like Greek, to him Italian was the “boldest” of languages, capable of accommodating diverse registers, ranging from archaisms and everyday expressions to latinisms and erudite forms inspired by antiquity, as well as more familiar, conversational, and engaging tones. In short, Leopardi regarded Italian as the most suitable language for translating ancient texts.

The main focus of this essay is an analysis of the language and style in Leopardi's translation of the Manual, which he considered particularly attractive for its “simplicity and immediacy of expression”. The study delves into the most significant and recurrent linguistic features, providing relevant examples of lexical, syntactical, and morphological phenomena. Particular attention is given to the variants found in Leopardi's autograph manuscript, preserved at the Biblioteca Nazionale in Naples, in order to shed light on the principles guiding his translation process. Leopardi's linguistic approach reveals a dynamic tension between innovation and tradition, marked by a keen sensitivity to phonetics and a richly articulated syntactical structure. His translation strikes a balance between moderate archaism and varying tones, from the colloquial and relaxed to the rigorously argumentative, in line with the prose of his Operette Morali, composed around the same period. [Publisher's text]

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Lettere italiane : LXXVI, 3, 2024