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Baudelaire e l'esperienza dell'abisso

2024 - Le Lettere

466 p.

Che cos'è la poesia, che senso ha? Deve confermare le nostre certezze, la poesia, con carezzevoli endecasillabi, oppure annunciare il disastro, la dislocazione della morale, calandoci in un implacabile ring di contraddizioni, di scelte allucinate, di inadempiuti voti? Cosa vuol dire "votarsi" alla poesia, convocando gli aspetti ferini del verbo, tra lupanare e licaone? Benjamin Fondane, pensatore anomalo, dal linguaggio selvaggio, confidente di Emil Cioran, scrive il suo capolavoro, Baudelaire e l'esperienza dell'abisso, in corsa, nell'estro della fuga ("Non ho creato io quest'epoca e le sue miserie"), certo del suo valore, per così dire, testamentario e violento. Viola i sacrari della critica, Fondane, osa mettere in crisi i sistemi lirici - accomodanti, in fondo - di Paul Valéry e di Thomas S. Eliot, setaccia tutti i paradigmi e straccia tutti i veli per giungere nelle segrete della poesia, lì dove l'uomo, la creatura che scrive, non è che un filatterio di cenere.

"La poesia pretende il diritto di essere dissennata e frivola, seria e profonda, profetica e visionaria; di non essere ridotta alla vergogna, quando all'improvviso le accade di dire quello che muore dalla voglia di dire". Baudelaire non è il fondatore della "poesia moderna" ma il suo esecutore, il poeta che ha avuto il coraggio di uccidere la poesia per vagliarne il veleno. Verità inaccettabile: continuiamo, impuniti, a poetare. Pensatore dal fascino ustorio, che guarda le cose nel loro ultimo istante, Fondane corre il rischio dell'azzardo. Arrestato nel 1944, deportato ad Auschwitz, morì in una camera a gas. Aveva il volto di un vogatore, ricordano alcuni amici, di uno che sapeva attraversare a nuoto i fiumi. [Testo dell'editore]

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